A Milano il vetro domina. E ricopre un’icona del passato.

Da quando mi sono laureata in Architettura non ho mai messo piede in uno studio né progettato nulla se non il balcone di casa mia. Niente di grave, ho fatto altro. Però la laurea è servita a tante cose. Intanto ho imparato a osservare l’architettura con un certo occhio critico, che mi ha permesso di accompagnare i cambiamenti della mia città con grande interesse. Milano era respingente anni fa, ora è una città che attira stranieri e consola i milanesi. Finalmente.

Rimanendo dentro i confini di una zona circoscritta, quella che poi bazzico moltissimo, ritengo che nel complesso lo skyline di Milano sia migliorato . C’è la torre Unicredit, strabella e straalta – che piace un sacco pure a mio figlio, appassionato di grattacieli; c’è piazza Gae Aulenti, notevole anche lei, che fa molto oriente (con quelle fontanelle a sfioro lì); poi mi piace assai il Bosco Verticale e le sue piantine spia per il controllo fitosanitario e i diffusori di “insetti utili”, oyeah; le torri Varesine, oddio, non tantissimo, anzi, ma forse finirò per abituarmici; la Torre Diamante non è niente male e le ville di Porta Nuova, che fanno effetto Berlino, mi incantano. Poi c’è la mega tenda vetrata della fondazione Feltrinelli. Ne vedremo l’effetto finale tra non molto. Anche se per ora mi ha quasi fatto esplodere la retina a causa del riflesso solare dritto in faccia mentre guidavo.

Insomma, in città c’è un fiorire pazzesco di nuovo. E di vetri, soprattutto. Belli, eh (sono una manna quando dimentichi il flash a casa e vuoi fare un bel ritratto a qualcuno). Ho provato anche a cercare in rete il numero di pannelli di vetro utilizzati nelle facciate di tutti questi palazzi messi insieme. Non ho trovato granché, peccato. Volevo farvi il totalone, ma ve lo lascio solo immaginare.

Ma tra tutti questi interventi ce n’è uno che proprio non capisco. Mi riferisco alla remise en forme della storica sede di Maire Tecnimont. Quella in Viale Monte Grappa, avete presente? Prima era così:

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PRIMA

Non so a voi, ma a me piaceva un sacco. Sarà la solita nostalgia degli anni settanta, può darsi, ma penso che abbiamo perso un edificio davvero iconico. Anche perché la nuova veste, in fondo, non ha nulla di veramente dirompente. Ha tantissimi vetri, quelli sì, come del resto la maggior parte degli ultimi interventi nati lì intorno. Per carità, le bonifiche servivano eccome. Metteteci il risparmio energetico, la sostenibilità, la valorizzazione dell’immobile, il fatto che devono pur vendere quei 17 mila metri quadri a qualcuno – mettiamocele tutte. Mettiamoci anche che verranno fuori uffici pazzeschi, equipaggiati di ogni confort (ho letto che ci sarà persino un’area docce e spogliatoi per invogliare i dipendenti a praticare sport nelle pause, chapeaux).

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DOPO – Rendering del progetto

Ma perdere quella splendida superficie lamellare,  sinceramente penso sia un peccato. Un po’ come rivestire la torre Velasca – un esempione di brutalismo in Italia – di vetri. Lo so che la maggior parte di voi pensa sia orrenda ( il Daily Telegraph la inserisce tra i ventuno edifici più brutti del mondo). Ma questo non basta a ricoprirla di vetri. Non sarebbe più lei, sarebbe un’altra cosa.

E’ vero che nel progetto della nuova facciata della ex sede Tecnimont c’è il richiamo alla struttura lamellare. Tuttavia non avrà mai la stessa carica simbolica e nemmeno lo stesso impatto. Non è più architettura “brutalista”, insomma, della quale perdiamo ogni traccia. Il linguaggio è completamente diverso. Sapeva di vecchio? Può darsi. Però ricordo un mio docente di urbanistica che diceva sempre: “non c’è futuro senza il passato”. Verissimo. E sarebbe meglio ammirare le tracce del passato per strada piuttosto che cercarle sempre nei libri.

5 Risposte a “A Milano il vetro domina. E ricopre un’icona del passato.”

  1. in che senso la torre Unicredit è strabella? Sembra un rotolo di carta igienica arrotolata in alto. E piazza Gae Aulenti (povera, chissà se è contenta – ma anche via Aldo Rossi e Gardella sono abbastanza tristi) è pacchianissima, sembra il lungomare di Lignano Sabbiadoro o giù di lì. Bene per carità recuperare spazi dismessi, ma queste architetture sono di un provincialismo assurdo

    1. Nel senso che io la trovo strabella, poi gli altri non lo so. Liberi di non essere d’accordo. E poi Giuseppe, ti confesso che ho sempre amato le forme che richiamano rotoli srotolati.

  2. Brava! Finalmente una voce che parla di questo ennesimo “delitto” architettonico.
    Sono pienamente d’accordo. Un intervento che tradisce tutta l’essenza volumetrica e la plasticità del progetto originario. Ancora così contemporaneo. Il tutto condito da renders accattivanti pieni di “citazioni” dello status quo. Mi sembra di leggere la relazione di progetto. Il paese dei vincoli che non riesce a produrre qualità e a tutelare gli edifici del moderno che lo meritano … sig-sob!

    1. grazie Silvia, putroppo non è il primo e non sarà neanche l’ultimo edificio cancellato con un colpo di vetro 😉

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