Progetti senza futuro: che fine hanno fatto le cabine telefoniche “intelligenti”?

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Milano a fine luglio è come una terra di mezzo. Non del tutto vuota e neppure abbandonata a se stessa. Non ancora, almeno. In questi giorni di calura, ad emergere, sono i fantasmi della città.  Tra questi ci sono gli anziani che si trascinano lenti lungo le ombre strette dei marciapiedi. Ieri ce n’era uno che, rifugiatosi dentro una vecchia cabina telefonica, provava ripetutamente a comporre un numero di telefono con un cellulare. Credo si fosse rifugiato lì, dentro quel relitto urbano, per sfuggire ad un sole impietoso. Sono rimasta qualche minuto a guardarli. Il vecchio e la cabina telefonica. Il pensiero che fossero entrambi un tantino obsoleti mi ha attraversato la mente. Un pensiero triste ed al contempo un po’ cinico.

Vittime del tempo e del rapido diffondersi della telefonia mobile, le cabine telefoniche sono ormai pezzi di arredo urbano in disuso. Vecchie, vandalizzate, spesso senza porte e con i vetri scassati e imbrattati. Apparentemente prive di utilità. Si era parlato tempo addietro del loro destino. O meglio, del loro “riscatto”. Era il 2010 quando Telecom Italia venne autorizzata da Agcom a smantellare le 130mila cabine telefoniche pubbliche presenti in Italia. Ciò in virtù dell’applicazione di nuovi parametri con cui misurarne l’utilità pubblica: “un apparecchio su strada è a rischio dismissione se fa meno di tre chiamate al giorno”, spiegò Telecom Italia. E così ebbe inizio il processo di smantellamento, al ritmo di 30.000 cabine all’anno. 

Nuova cabina intelligente
Il primo e unico esemplare della «tecno-cabina» finora installato: si trova a Torino, di fronte al Politecnico
Proprio al fine di rilanciare, in chiave innovativa, la funzione delle cabine, nel 2012 fu presentato in pompa magna un prototipo – realizzato da Telecom Italia con la startup torinese Ubi Connected – di “Cabina Intelligente”. Si trattava di cabine telefoniche futuristiche, da collocare in punti strategici e accessibili dei centri urbani. Dotate di un pannello solare, collegamento alla banda larga, schermi lcd, avrebbero dovuto inoltre essere posizionate in prossimità di colonnine predisposte alla ricarica di biciclette e scooter elettrici. Il relativo progetto sarebbe poi dovuto diventare un esempio di infrastruttura urbana inserito nella pianificazione smart delle città italiane.  “Partiremo con qualche decina di unità a Torino e poi passeremo in altre città d’Italia”, aveva detto il vicepresidente di Ubi Connected, Cosimo De Russis, al momento della presentazione della cabina intelligente.Di cui però non si è avuta più notizia, dopo l’installazione del primo prototipo a Torino. La giustificazione ufficiale, data da Telecom Italia, del perché il progetto pare sia finito su un binario morto, verrebbe ascritta a «valutazioni sull’adeguatezza della partnership da instaurare». Sembrerebbe un modo criptico per rimettere in discussione il progetto, dietro al quale peraltro è emerso esserci una serie di personaggi dei quali si stanno interessando da tempo varie Procure della Repubblica, che indagano su truffe relative ad energie rinnovabili e frodi fiscali. Si tratta di Gaetano Bugliesi e Roberto Saija, i cui nomi compaiono risalendo lungo la catena di controllo di Ubiconnected. A tale proposito va detto che l’unico articolo che si interessò della vicenda, pubblicato il 2 ottobre 2012 da la Stampa.it, fu contestato dai legali della Ubiconnected, i quali fecero la seguente precisazione: «Vero che, invece, nessuno dei soggetti sopra citati (Gaetano Bugliesi e Roberto Saija, ndr) ricopre cariche di amministrazione e gestione all’interno della società e che nessuno dei personaggi sopra citati è socio della Ubiconnected s.p.a.».
Dal canto suo, la Stampa replicò che, “come riportato nel pezzo, i nomi di Bugliesi e Saija non sono soci diretti ma compaiono (a più riprese) risalendo lungo la catena di controllo di Ubiconnected.” Al di là di ciò, va però detto che sono trascorsi parecchi mesi da quando Telecom  affermò di dover fare “valutazioni sull’adeguatezza della partnership da instaurare”. E tutto tace.
Certo è che la vicenda, di cui si è parlato stranamente poco, presenta aspetti non chiari. Nonostante Telecom Italia abbia tentato di fugare ogni dubbio così: «per l’accreditamento delle imprese che si propongono come fornitori o partner, Telecom Italia richiede ai candidati una serie di informazioni, attestazioni e documenti, e per accertare la sussistenza dei requisiti – compresi quelli sugli standard etici richiesti – Telecom procede a verifica diretta con ricorso alle fonti pubblicamente accessibili, oltre all’auto-certificazione da parte delle stesse imprese. In questo quadro le valutazioni che Telecom Italia svolge per decidere se instaurare o meno il rapporto di fornitura o di partnership attengono alla sfera di autonomia propria di ogni azienda» 

Contenti loro! Sarebbe interessante chiedere a Telecom Italia – la quale dichiara di non avere nulla a che fare con Bugliesi e Saija –  che fine farà il progetto e se intende ancora darvi seguito, ora che i nomi dei due sono saltati fuori, e, con loro, il marcio. Magari cercando un fornitore illuminato, interessato a (ri)portare il vero futuro ai cittadini. Lo stesso futuro che hanno rappresentato, per anni, le cabine a gettoni.

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