Wifi: chi le adotta le precauzioni?

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La questione è amletica: il wifi nuoce o no alla salute? La risposta ancora non esiste. O almeno questo è ciò che ci vogliono far credere. Sta di fatto che ad oggi nessuno è ancora riuscito a fare luce attorno agli effetti biologici delle radiazioni di microonde a basso livello, l’WiFi appunto. Sul tema poi, l’opinione pubblica sembra essersi spaccata in due: da un lato quelli che si oppongono in maniera radicale senza se e senza ma al dilagare di onde nello spazio aereo pubblico e tentano una crociata sempre più solitaria. Dall’altro lato quelli che ritengono che non esista alcun pericolo per la salute pubblica e che accusano chi ostacola la diffusione capillare del wifi, nelle scuole e negli uffici pubblici, di essere solo un complottista ancorato al medioevo più profondo. Infine, in mezzo, ci finiscono quelli come me, che si ritrovano ben sedici reti wireless altrui in casa e cercano una risposta.

Sì, perché purtroppo è così, siamo ormai tutti “irretiti”. Basta fare un giro con il proprio smartphone per capire che ogni metro percorso si accende una rete diversa. E confesso, in certi momenti, questo accerchiamento magnetico mi rende piuttosto inquieta. Ma io non ho intenzione di convincere nessuno che le reti wireless fanno male. O che non hanno alcun effetto su di noi, per quello che ne sappiamo. L’unica certezza che ho è che le reti interagiscono con il nostro corpo. E su questo punto direi che non ci debbano essere tanti dubbi, poiché gli studi ormai sono tanti e autorevoli. Come quello, ad esempio, del dott. Fiorenzo Marinelli, responsabile dell’Istituto di Genetica Molecolare del Cnr di Bologna, autore di uno scomodo rapporto condotto nelle scuole sugli effetti genetici dei campi elettromagnetici ambientali su cellule in coltura: un nuovo metodo per valutare l’entità dell’esposizione, tanto per intenderci, lo stesso adottato anche dalla Procura di Lanusei nel dimostrare il danno alla salute causato dai radar di Quirra (Ogliastra) poi sequestrati.

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Come apparirebbe il Wi-fi se fosse visibile a occhio nudo: l’artista americano Nickolay Lamm, in collaborazione con un astrobiologo della Nasa, ha cercato di dare una risposta a questo interessante quesito analizzando la questione dal punto di vista scientifico.

Si pensi che la stessa Organizzazione mondiale della Sanità è dovuta tornare sui propri passi,  dopo avere dichiarato per anni che non esistevano evidenze che i campi elettromagnetici a radiofrequenza potessero aumentare il rischio di tumori. Tanto che in una conferenza stampa del 2011, convocata a Lione presso l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (www.iarc.fr), l’Oms si è fatta portavoce del «cambio di classificazione» deciso dallo Iarc. Dichiarando che “l’uso dei telefoni cellulari e di altri apparati di comunicazioni wireless” potrebbe causare il cancro negli esseri umani.

E non a caso molti paesi europei stanno facendo inversione di marcia. Come la Francia, ad  esempio, che ha dato vita a ”Grenelle des ondes” a Parigi, un progetto governativo mirante alla rimessa in discussione del problema della telefonia mobile, del wifi, e dei potenziali pericoli ad essi collegati. Addirittura la municipalità  di Hérouville-Saint-Clair ha deciso di togliere l’internet senza fili nelle scuole. “Noi applichiamo il principio di precauzione. Il nostro ruolo è quello di proteggere la salute della gente”, ha detto il sindaco Rodolphe Thomas.

E noi? Considerati da sempre il fanalino di coda  nell’uso delle nuove tecnologie, dobbiamo in qualche modo correre ai ripari per colmare il gap tecnologico. E infatti, Renato Brunetta, l’ex ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, annunciò nel 2011 che “10 mila scuole italiane potranno fin da ora prenotarsi per avere installato il Wi-Fi. Questa tecnologia sarà la dotazione di tutti gli istituti italiani”. Brunetta era talmente entusiasta del progetto Wi-Fi nelle scuole che disse: “Il mio sogno è di rendere possibile il Wi-Fi a tutti i bambini delle elementari, ma non ho ancora trovato i soldi”.

A questo proposito, lo scorso 7 novembre 2013, è stato approvato in Parlamento il decreto legge ”L’istruzione riparte”. Tra i principali contenuti di questo pacchetto-scuola c’è il potenziamento della connettività wireless nelle scuole secondarie, con priorità a quelle di secondo grado. I fondi dovrebbero servire per realizzare o ampliare infrastrutture di rete. Obiettivo principale, ”incrementare l’uso di contenuti digitali in aula da parte degli insegnanti e, soprattutto, degli studenti per innovare e rendere più interattiva la didattica”. Si tratta di 15 milioni (5 per il 2013 e 10 per il 2014) spendibili subito per la connettività wireless nelle scuole secondarie, con priorità per quelle di secondo grado.

E così in Italia si sta alimentando l’idea che la scuola del futuro debba essere a tutti i costi connessa senza fili. Facendo così passare in secondo piano la strutturale carenza di servizi di base, la fatiscenza e scarsa sicurezza degli edifici, i deficit formativi degli insegnanti e addirittura la mancanza di sapone e carta igienica.

Se pensiamo poi che i contraenti di servizi di telefonia mobile nel mondo sono oltre sei miliardi, allora è facile capire perché su questo tema nessuno voglia fare tanta chiarezza. L’unica cosa auspicabile sarebbe l’applicazione, da parte di tutti, del principio di precauzione. Cercando responsabilmente di instaurare un dialogo tra i diversi stakeholders – istituzioni, scuole, mondo della ricerca, genitori e medici – al fine di trovare soluzioni condivise e tali comunque da evitare che una dose sovrabbondante di onde interagisca con i nostri corpi e con quelli dei nostri figli.

In tutto ciò il mondo dei media potrebbe fare molto di più, assicurando alla popolazione una corretta informazione sui rischi più o meno consistenti sulla salute e spronando le Istituzioni ad utilizzare per il bene collettivo e non come bandiera elettorale uno strumento come l’wifi.

Una risposta a “Wifi: chi le adotta le precauzioni?”

  1. Io credo che prima ancora che occuparci di wi-fi, dovremmo affrontare il tema di cosa mangiamo. A partire dagli alimenti spacciati come biologici e coltivati alle porte delle nostre metropoli o in campi affacciati sulle autostrade.

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