Chi ci guadagna con il BikeMi?

 

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A Milano il numero dei ciclisti è in costante aumento, in controtendenza con le statistiche nazionali, crescono gli utilizzatori delle due ruote. Un dato confermato anche dall’incremento dei noleggi del Bike sharing che dall’inizio del servizio a oggi ha registrato il top dei prelievi giornalieri nel mese di settembre 2012 11.573 utilizzi. La maggior frequenza dei noleggi nei giorni feriali rivela la tendenza a servirsi della bicicletta per gli spostamenti lavorativi e non solo per il tempo libero.” (“Il Ciclista Urbano”, dal sito del Comune di Milano)

Se è vero che il numero di ciclisti è in costante aumento anche grazie al Bike sharing, è anche vero che ad oggi le ciclabili sono assolutamente insufficienti e in molti casi inadeguate, anche perché mal progettate. Questo è lo stato di cose con cui chi come me usa la bicicletta fa i conti. A Milano accade spesso di vedere ciclisti che vanno contromano per evitare di affondare nelle rotaie del tram o di schiantarsi nei “crateri” di malconce strade. Con il corredo di giusti  insulti, da parte degli automobilisti.

Se poi al seguito dell’adulto c’è una cordata di bambini su due ruote, l’unico modo per viaggiare sicuri è di invadere i marciapiedi. In tal caso sono i pedoni a insultare! Ma quali sono le alternative? Un ciclista dovrebbe valere come una macchina in meno e non come un rompicoglioni del traffico in più. E dovrebbe  avere semplicemente un percorso dedicato, come accade in tante capitali europee.

Come se non bastasse, quest’estate è scoppiato il caso del “controsenso ciclabile”,  ovvero la IMG_1350possibilità per le biciclette di procedere in senso contrario nelle strade a senso unico. Che la commissione trasporti della Camera ha bocciato. E allora apriti il firmamento dei dibattiti! Che dire? Il problema originale, almeno a mio modesto parere, rimane sempre lo stesso: la mancanza di piste ciclabili. In Italia i ciclisti morti nel 2012 sono stati 289, quasi uno al giorno, mentre i ciclisti feriti, 16.611. Inoltre il rapporto Aci-Istat del 2012 sottolinea che: “sulle strade urbane si conta il 75% degli incidenti con il 42% delle vittime e il 72% dei feriti”.

Nel grande dibattito sul tema i pedoni, ciclisti, motociclistici e automobilisti si trovano a difendere le proprie ragioni senza avere una benchè minima idea del senso civico che ci dovrebbe accumunare tutti. Perché prima di ogni cosa manca il rispetto reciproco. Macchine che se ne fregano delle ciclabili, pedoni che attraversano le strade fuori dalle striscie pedonali senza nemmeno guardarsi attorno (magari mentre mandano un sms), ciclisti che scampanellano sui marciapiedi.

Molti sostengono che non servano nuove piste ciclabili ma bensì la messa in sicurezza di quelle esistenti. Ma il punto è che le piste ciclabili mancano proprio nelle arterie di collegamento della città, come le circonvallazioni e le vie  radiali che partono dal centro storico, nel caso milanese. Passare un pennello e dipingere una ciclabile peraltro in zone pedonali non serve. Se si tratta di “educare” i cittadini all’uso della bicicletta per andare in ufficio tutti i giorni (partendo anche dalle zone più periferiche) è necessario progettare un sistema di ciclovie minimamente capillare. Mancano forse i soldi?

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concept sul tema bike-sharing elaborato dal designer svizzero Rafael Schmidt

Proviamo a fare due conti in tasca al Bike sharing, uno dei cavalli di battaglia del nostro assesssorato alla mobilità. Le spese che il Comune di Milano ha dovuto sostenere, ben evidenziate da Giorgio Demurtas nel suo blog, tra investimento iniziale (attorno ai 25 milioni di euro) e quello della gestione e manutenzione (solo i danni per atti di vandalismo e furto costano 100 mila euro all’anno) basterebbero a “tappezzare” la città di ciclovie: “una pista ciclabile su strada esistente costa circa 10 €/m per senso di marcia, 100 €/m costa una pista larga 2,5 m realizzata in sede indipendente (realizzando da zero anche la fondazione stradale e la pavimentazione in conglomerato bituminoso). Se ipotizziamo un costo di 50 €/m per la realizzazione di nuove ciclabili a Milano, appare evidente che con i costi del BikeMi avremmo potuto usufruire di 500 km di piste ciclabili.”

Ma gli interessi in ballo sono troppo grossi. E non solo da parte del Comune di Milano che prevede di invadere la città di stazioni BikeMe con l’obiettivo di arrivare a superare le 4.000 unità e guadagnando non poco con gli abbonamenti. C’è anche Clear Channel, la società che si è aggiudicata le gare di bike sharing delle città di Milano e Verona. E che fronte di un contributo da  parte di ATM e del supporto di tutti i costi di gestione e manutenzione, riceve in cambio per ogni singola stazione 30 mq di spazio pubblicitario da rivendere al proprio portafoglio commerciale e i ricavi degli abbonamenti. Fatico a credere nella buona fede di questa “corsa” alle due ruote perché c’è troppo odore di truffa. Perché non basta aumentare il numero delle biciclette pubbliche, insistendo  sull’implementazione del bike sharing. Anche la cultura della bicicletta si costruisce partendo dall’insegnamento dell’educazione civica, che forse manca più delle ciclabili.

Una risposta a “Chi ci guadagna con il BikeMi?”

  1. Sono rimasto a bocca aperta nel leggere i costi altissimi dell’operazione BikeMi. Che come tante altre operazioni simili fatte in lungo ed in largo nella nostra penisola, puzza tremendamente di propaganda.
    Basterebbe, come scrivi, investire in veri percorsi ciclabili solo una parte dei denari spesi per BikeMi per rendere la nostra città decisamente più bike friendly!

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