L’Italia è il paese con il periodo di vacanze scolastiche più lungo in tutta Europa: quattordici settimane. Quest’
Le vacanze estive sono più brevi nei paesi come Regno Unito, Germania e Danimarca, dove le pause scolastiche sono ripartite nell’arco dell’anno. Cosicché il numero di giorni di attività resta simile al nostro, ma risulta meglio distribuito. Cosa che peraltro gioverebbe alla bontà nell’apprendimento. Infatti, come suggeriscono alcune ricerche americane, una pausa estiva troppo lunga contribuirebbe a creare un gap conoscitivo negli studenti. Gap che verrebbe poi quasi del tutto colmato durante l’anno scolastico, ma che farebbe perdere mesi scolastici preziosi.
Gli americani la chiamano “Summer Learning Loss”. L’università La Sapienza, prendendo le mosse da questi studi, ha evidenziato quanto la perdita di apprendimento dopo l’estate possa colpire in particolare gli studenti con una situazione economica e sociale disagiata, oppure chi vive , durante l’estate, in contesti poveri di stimoli. In sintesi, gli studenti che hanno la possibilità, una volta terminate le lezioni, di usufruire di corsi doposcuola (e ormai ce ne sono di vario tipo, da quelli sportivi a quelli in ambito culturale ed artistico), frequentare campus specifici, o fare viaggi e vacanze studio, ottengono performance migliori non solo dopo l’estate, ma anche durante tutto l’anno scolastico.
In tema di calendario scolastico si perdono nel tempo i tanti progetti di riforma pensati dai capi di governo o dai ministri di turno e che non hanno mai visto la luce. Ci provò il governo Monti, che timidamente avanzò la proposta di limitare a un mese le vacanze estive, invitando gli istituti a chiudere completamente solo per trenta giorni. In questo modo, si sarebbe potuta dare la chance, soprattutto a bambini e ragazzi che restano nelle città, di svolgere attività di approfondimento e di recupero scolastico, di gruppo o individuale, negli altri mesi solitamente dedicati alle vacanze estive. La proposta provocò una insurrezione, in particolare sul fronte sindacale. E la frase «non è quel che serve alla scuola», pronunciata dall’allora segretario generale della Uil Scuola, Massimo Di Menna, rappresenta bene il tipo di accoglienza che fu riservato al progetto.
Oggi Matteo Renzi parla molto di riforma scolastica. Ed elenca quattro punti da cui partire: muri, docenti, programmi e autonomia. Ma la scuola non è fatta solo di persone e di muri. Di programmi e informatica. Di tre lunghissimi mesi di assenza dalle aule compensati da una valanga di sterili compiti. E’ fatta anche di tempo. E il tempo è una categoria fondamentale, come lo spazio. Dare alla scuola il tempo sottratto dal buco estivo aiuterebbe le famiglie che lavorano e quelle che non possono usufruire di corsi o situazione alternative. Gioverebbe soprattuto ai ragazzi, perché avere più pause durante l’anno accademico, e più lunghe, potrebbe essere lo stimolo per un percorso formativo diverso, più equilibrato ed efficace. Ma non solo, potrebbe riportare nelle comunità la dimensione del tempo scolastico estivo, più comunitario e meno nozionistico. Senza togliere, per questo, il tempo prezioso dell’ozio.